La Danza Popolare: un ponte verso gli altri e verso se stessi

La Danza, in particolar modo quella popolare, e  la relazione con gli altri. Questo il tema   del saggio di Fernando Incurvati, psicologo e psicoterapeuta, docente, e anche danzatore,  di cui pubblichiamo con piacere una sintesi. L'autore  intende  approfondire due dimensioni della danza davvero vitali per l'esistenza umana: la relazione con gli altri (con l’ Altro da sé ) da un lato, e la relazione col proprio Sé dall’altro. "Cosa cerchiamo noi nel momento in cui ci accingiamo a danzare le varie tarantelle, le varie tammurriate, i vari saltarelli? Cerchiamo l’incontro, cerchiamo lo scambio, cerchiamo l’intesa con chi abbiamo di fronte.... Balliamo il popolare, dunque, per sentirci sempre in sintonia con gli altri e con noi stessi!"

 

"A Bia dedico"

Apparentemente si dà per scontato che, quando si danza, lo si faccia per lo più in interazione con altre persone e ciò soprattutto nell’ambito dell’ampio contenitore dei balli popolari che, da sempre, palesano lo spirito di collettività danzanti, unite dalla gioia di vivere all’unisono tale così fervido mondo espressivo.

Nella tradizione popolare, infatti, il ballo sancisce e rende esplicito l’insieme di rapporti che viene ad intessersi fra i tanti membri di una comunità, rapporti di volta in volta di solidarietà, di incoraggiamento reciproco ma anche di sfida, di seduzione, di ripicca, di ammiccamenti, di sollecitazione, di accettazione, di rifiuto: praticamente ogni genere di movimenti dell’animo e di dinamiche che siamo soliti concepire nei confronti delle persone che ci circondano e che, volenti o nolenti, entrano a far parte della nostra vita. Nelle culture tradizionali di stampo contadino-artigianale il ballo assume significati e funzioni che vengono a regolare la vita e il quotidiano del sociale. Nessuna danza nasce per caso o possiede senso al di fuori e indipendentemente dal contesto che la genera e poi la mantiene in tutte le successive evoluzioni e trasformazioni.

Danza popolare e Comunità

La danza scandisce i tempi della comunità, le sue attività, i suoi momenti canonici (quali ad esempi i lavori agricoli collegati ai cicli stagionali), i suoi modi di proporsi e perfino di pensare ed agire. La danza rende evidente ogni rapporto che è solito instaurarsi in essa comunità, potendo efficacemente anche modulare quel rapporto stesso: rapporti fra uomo e donna, sposo e sposa, genitori e figli, amico e amico, parente e parente, persona e suoi conoscenti, membri della collettività ed outsider. In poche parole potremmo affermare che ogni cultura vive della danza e nella danza: dimmi cosa danzi e ti dirò chi sei e da dove provieni, quali sono le tue speranze, le tue paure, le cose cui tieni, quelle che invece vorresti bandire dal tuo animo e da ciò che ti appartiene.

Veniamo ora a ciò che potremmo definire mondo interno all’individuo e mondo a lui esterno e cerchiamo di contribuire a far luce sulle dinamiche, interiori ed esteriori, che insorgono allorché, ballando il popolare, ci si trovi coinvolti in una relazione coreutica ovvero, detto più semplicemente, si balli con una o più persone. Classicamente la danza popolare non la si vive in autarchia: si balla con altri. Quali vissuti e quali emozioni si possono perciò provare e quali atti (tecnicamente: quali “passi”) ne possono derivare quando il danzatore o la danzatrice “dialogano” ballando con un partner? A mio modo di vedere ogni danza popolare si dovrebbe chiamare “con- danza”, danza con , danza con qualcuno, danza con un’altra persona o con varie altre persone, eventualmente anche molte: nei balli popolari infatti la presenza dell’ Altro è centrale nella logica e nello sviluppo creativo che essi manifestano.

Incontro, intesa, dialogo

Al di là della tecnica e della perizia posseduta,  cosa cerchiamo  nel momento in cui ci accingiamo a danzare le varie tarantelle, le varie tammurriate, i vari saltarelli? Cerchiamo l’incontro, cerchiamo lo scambio, cerchiamo l’intesa con chi abbiamo di fronte. È un vero e proprio dialogo muto quello che si viene ad istituire, un dialogo che può avere un’intensità e un’energia perfino superiori rispetto a ciò le parole sogliono veicolare. Di fronte a noi c’è un’altra persona e noi non le parliamo con la voce; non ne abbiamo bisogno, facciamo di più, la approcciamo e ci relazioniamo a lei ma con la danza, attraverso la gagliardia e l’eleganza che alla danza appartengono. Questa perviene così ad essere uno strumento sublime per entrare in contatto con la persona con cui stiamo ballando.

Si dice spesso che non si danza nella stessa maniera con chiunque. Certo! Così come non si parla con la stessa consequenzialità e la stessa chiarezza indipendentemente dal nostro interlocutore, parimenti il nostro modo di danzare potrà essere diverso, magari anche a livello appena percepibile, in funzione del nostro partner. Diversi i partner, diversi i dialoghi, diversi - almeno un poco - i modi di danzare. Diverse sono le cose che ci si può “dire” nel ballo, diversi possono essere i vissuti e le emozioni che ci si vuole trasmettere.

Nella vita ciascuno di noi  è meccanicamente sempre lo stesso in ogni momento e con ogni persona? Non credo proprio. E perché mai, allora, egli dovrebbe risultare tale nel momento in cui la vita si declina attraverso i passi della danza? In essa si può venire ad attivare una parte della nostra personalità ma non una parte qualsiasi, bensì quella che il contesto, anche e soprattutto umano, in quel momento ci elicita. Non tutta la nostra personalità è sollecitata nel momento in cui balliamo ma solo quella che scaturisce dalla confluenza di vari fattori: il piacere di danzare, il piacere di danzare proprio quella danza, la presenza del nostro partner e le sensazioni che egli ci sa anche inconsciamente suscitare, tutto ciò che fa da cornice al nostro ballo e che esercita su di esso qualsiasi tipo di influenza. Danzare non è certo semplicemente esercitarsi nel movimento. Danzare il popolare, dicevamo prima, è dialogare ma può essere perfino potersi e volersi sottrarre al dialogo. Con alcune persone balliamo meglio, con altre con maggiore difficoltà. Le prime ci ispirano, le seconde meno. E l’abilità coreutica c’entra sì, ma solo fino ad un certo punto. Si può ballare bene (leggasi: con piacere) con chi magari non è particolarmente provetto e, al contrario, ci si può sentire meno espressivi e meno disinvolti ballando con partner tecnicamente ben impostati. Il “feeling” può sorgere indipendentemente dalle competenze sia nostre che del nostro partner; lo possiamo infatti avvertire in forza di determinanti che non hanno del tutto a che fare con la perizia ma che nascono da dimensioni le quali, pur collegate alla danza e in essa concretizzantisi, vanno anche al di là della danza stessa.

Essere accolti e accogliere 

Da questo punto di vista potremmo dire che la danza “rivela”, ci dà segnale. Se proviamo simpatia verso quello specifico partner finiamo per comunicarglielo, anche al di là delle nostre intenzioni. Se, diversamente, egli non ci entusiasma o addirittura ci crea disagio non ci risulta facile nella danza mascherare tale percezione. In presenza di condizioni favorevoli, l’ incontro può rivelarsi più facile rispetto a quanto accada in situazioni diverse, esterne alla danza. Fra noi e l’Altro, infatti, si interpongono meno filtri, meno schermi, la comunicazione è più esplicita e più diretta e, spesso, ci si accorge di capirsi o non capirsi con maggiore chiarezza di quanto avvenga in altri e più consueti contesti di vita. Se nella danza noi accogliamo l’Altro e da questi siamo accolti o, al contrario, questa accoglienza non si esprime, ne diventiamo consapevoli in via più immediata a confronto con ciò che potremmo avvertire, ad esempio, durante uno scambio verbale.

Accettazione e rifiuto sono scenari centrali nella vita di ogni persona: sentirsi inclusi o, all’opposto, esclusi rappresentano stati che determinano vissuti mai senza rilevanti conseguenze e che segnano, quasi invariabilmente, il nostro modo di essere al mondo. Tutto ciò ha la concreta possibilità di riprodursi nella danza popolare con significativi spunti psicologici: ballare è desiderare di gettare un ponte verso chi abbiamo di fronte e le risposte che riceviamo sanno esaltarci nella stessa misura in cui, in caso di approccio senza esiti, possono lasciarci delusi e con una sensazione di incompiutezza. E se, per evento fortunato, sentiamo che questo contatto con il partner è stato trovato, che è stata istituita una corrente di felici rimandi reciproci, l’agio e il benessere che ne derivano possono esser tali che, almeno per il limitato tempo di quel giro di ballo, il mondo rimane fuori, quasi sbiadisce e scompare dai radar delle nostre emozioni: ci siamo noi, l’altro con cui danziamo e il nostro dialogo muto. Il resto, almeno per qualche minuto, non conta più. Si può ballare in due, gioiosi come se si fosse soli, pure in presenza di tante persone.

Danzare in gruppo, il cerchio 

Il ballo però può essere anche “far parte del gruppo”, sentirsi membri presenti e attivi di una comunità. Non sono poche le danze della tradizione popolare di tutti i Paesi del mondo in cui il rapporto coreutico si viene a istituire non fra singolo e singolo, bensì fra individuo e gruppo. Le danze più antiche sono quelle in cerchio la cui disposizione permette a ciascuno di entrare in contatto visivo, e quindi di relazionarsi, con tutti gli altri danzatori che fanno parte di quel gruppo. L’uomo è un animale sociale, diceva già in epoca classica Aristotele. Tutto ciò che facciamo acquista un senso specifico in tanto in quanto lo esprimiamo all’interno di un determinato contesto antropologico. Gli altri, che lo vogliamo o no, partecipano della nostra vita e, in qualche misura, vengono ad esercitare un influsso sul nostro percorso. Siamo in sostanza esseri già all’origine destinati ad appartenere a un insieme. Tale condizione viene rispettata e rispecchiata anche nella danza. Si balla in un gruppo e con un gruppo la qual cosa ci fa sentire inseriti, “inclusi”. E se anche non tutte le risonanze emotive che ne derivano possono risultarci gradevoli, ciò fa parte del gioco, fa parte della logica della danza, fa parte in generale del senso della vita. Peraltro esistono importanti balli popolari italiani in cui la cornice umana colora di sé quei balli stessi e senza la quale questi ultimi risulterebbero impoveriti sia nella loro struttura coreutica, sia nello spirito che vi si manifesta. Voglio citare innanzitutto l’esempio della rota calabrese (struttura circolare della tarantella, ‘ U sonu a ballu ) in cui i due ballatori, scelti su consapevole indicazione del Mastr’a ballu , autentico deus ex machina della situazione, danzano avendo come contorno fisico ed emotivo l’insieme delle persone convenute. Togli quell’insieme e la danza cessa di esistere o, tutt’al più, diventa altra e meno significativa cosa poiché le viene sottratto proprio ciò che ne dà ragione e organizzazione: la comunità. Stessa cosa per la ronda della pizzica in Salento o per il gruppo disposto in circolo nel salterello amatriciano dai quali balli di volta in volta emerge la coppia che per un breve tempo danzerà al centro di quella struttura circolare. Mai come in tutte queste situazioni si può dire che la comunità fa la danza, ne è la colonna portante.

L'ascolto di sè

La danza dunque è una via concreta e pregnante per entrare in contatto col mondo esterno, con l’Altro-da-noi, un Altro che, secondo il contesto, può essere sia individuale che collettivo. Tuttavia questa, a nostro avviso, non è che una delle due facce di una stessa medaglia, una delle due dimensioni di cui la danza consta: l’altra faccia siamo noi stessi e tutto il nostro mondo interiore, costituito da mille sfaccettature e mille coloriture emotive. La danza, sempre che vogliamo ascoltarla col cuore, ci può permettere di entrare nelle pieghe di un personale dialogo interno, di approcciarci almeno un poco ai meandri nascosti di stati d’animo che raramente palesiamo, in primo luogo a noi stessi. Essa, spesso più di altri ambiti esperienziali, ci permette di percepire ciò che in quel momento pervade il nostro spirito e il nostro corpo. E’ come se un po' diventassimo psichicamente strabici: un occhio metaforicamente rivolto all’esterno a mantenere il contatto col nostro partner di ballo e l’altro condotto a gettare un profondo sguardo dentro di noi, uno sguardo di certo non meno intenso ed appagante. Così come avviene nella relazione con l’esterno, nella danza popolare si può venire a potenziare o, per meglio dire, a rendere più nitido il rapporto che noi intratteniamo con questo nostro universo interiore. Possiamo percepire con maggiore trasparenza le correnti emotive che la danza può elicitare in noi, legate ad essa ma anche indipendenti da essa. Se si è felici, ballando questa felicità ci risuona dentro con più energia, se si è malinconici si può avvertire tale malinconia con una chiarezza nuova, senza che peraltro uno stato d’animo del genere ci annichilisca o ci diluisca il piacere della vita.

Nella danza abbiamo l’occasione di recuperare, anche in questo caso con minori filtri e minori schermi, lati non immediati del nostro essere che ci vengono restituiti non più quali inquietanti “convitati di pietra”, bensì come reale risorsa, come accattivante opportunità di crescita ed arricchimento personale. Peraltro un buon ascolto della propria interiorità non si pone mai in opposizione alla sintonia che noi cerchiamo di raggiungere con i nostri partner di ballo. L’uno richiama l’altro, uno rivitalizza l’altro secondo un gradevole circolo virtuoso. Prestando serena attenzione alle nostre interne​ risonanze emotive non perdiamo, né dobbiamo perdere, il contatto col mondo che ci circonda e che in quel momento ci include nella danza. L’ascolto interiore rappresenta premessa dell’apertura all’Altro, non certo chiusura in se stessi e negazione della fertile presenza altrui. Se invece così fosse, si vanificherebbe il potenziale espressivo e creativo della danza e si volatizzerebbero i contributi che quest’ultima può recare allo sviluppo della relazione.

Danza e felicità

E’ evidente che ballando si può, anche con particolare vivacità, provare piacere. Che danza sarebbe quella che non rende, almeno un poco, felici? Il sentimento di competenza e di agio che il più delle volte ricaviamo dal ballare è ineliminabile, anzi rappresenta uno dei più sostanziosi incentivi per cui ci avviciniamo al regno di Tersicore. E ciò viene oltremodo esaltato dalla energia e dalla bellezza delle danze popolari che hanno il potere di farci riscoprire il senso profondo delle nostre radici. Il gusto di ballare, però, non è mai “a prescindere dall’Altro” ma proprio “insieme con l’Altro”. Venendo meno il contatto con questi, risulta sacrificato, direi mortificato, proprio il senso profondo di quel godimento. Cessa il piacere di relazione e, al suo posto, ne subentra uno di natura narcisistica, ben più meschino e asfittico del primo: in altre parole si finisce per ballare da soli, in modalità solipsistica , anche se fisicamente appariamo impegnati a danzare con qualcuno. Balliamo il popolare, dunque, per sentirci sempre in sintonia con gli altri e con noi stessi! Balliamo e ne potremo trarre tanta gioia!

E, a conclusione di queste mie considerazioni che nascono come invito ad una riflessione comune, vorrei ricordare le parole di Friedrich Nietzsche che, considerando la danza espressione di un autentico spirito dionisiaco, afferma: “E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.”

Abbandoniamoci perciò tutti quanti a questa vivifica, trascinante follia e precipitiamoci nelle piazze, nelle vie, nei ritrovi, nelle feste, ovunque ci si possa lasciar coinvolgere da tutto ciò che, quasi magicamente, esprime la danza.

Fernando Incurvati

Fernando Incurvati - Psicologo e psicoterapeuta. Già docente di Scienze Umane e Filosofia nelle Scuole Medie Superiori. Formatore in discipline psicologiche. Fondatore e Direttore della Scuola di Cultura Psicodiagnostica Silvia Montagna. Collabora nella didattica, in varie città d'Italia, con Istituti di Psicologia e di Specializzazione in Psicoterapia.

Foto Ballareviaggiando.it  di Elio Ippolito ( tratte da eventi curati da Francesca Trenta /I Passi della Tradizione come Ials Etnica, Nemi in Folk, Ballo!)

La foto di Fernando Incurvati è di Gianmarco Ciullo


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